Procrastinazione e serie tv – ovvero “guardo un’altra puntata e poi inizio a fare ciò che devo fare”

Essendo una procrastinatrice cronica (come recita il nome del mio blog), in questi anni ho dovuto ingegnarmi in tutti i modi per trovare la maniera di passare il tempo senza essere obbligata a pensare troppo.

Ho già parlato, in un post precedente, della mia dipendenza da ruzzle e affini, ma la mia procrastinite ha radici molto lontane, quando ruzzle non esisteva, Zuckerberg aveva ancora i brufoli (anche se apparentemente non è cresciuto molto da allora) e le caramelle te le mangiavi anziché giocare a Candy Crush Saga. Frequentavo la scuola media e nel pomeriggio, arrivato il momento di fare i compiti, saltava sempre fuori qualcosa che mi distraeva dai miei doveri. Certo, la mia distrazione era facilitata dalla presenza della mia gemella. Stessa classe, stessi compiti, stessa cameretta. Fu in quel periodo che nacque ufficialmente la mia (nostra, includo anche mia sorella) dipendenza da telefilm.

In quegli anni iniziai a seguire diverse serie tv (della maggior parte delle quali mi vergogno profondamente). I primi telefilm che iniziai a seguire assiduamente furono Streghe, Buffy L’ammazzavampiri e, sic!, Dawson’s Creek.

Per chi non lo sapesse (ma dubito ci sia qualcuno che non conosca le sorelle Halliwell e se esistesse potrebbe essere un vero sano di mente), Streghe è un telefilm che racconta la storia di tre sorelle dotate di poteri magici che passano la loro vita a combattere contro i demoni e le forze oscure del male. Inizialmente sono Prue, Piper e Phoebe, ma poi disgraziatamente Prue muore (credo nella seconda stagione, a causa del caratteraccio di Shannen Doherty che ne interpreta il personaggio) e al suo posto compare un’altra sorella di cui prima si ignorava l’esistenza , Paige.

Le prime stagione sono state carine (dai, si, non erano male!), anche se non ho mai capito perché indossassero i tacchi per andare a combattere (masochiste o fashion victims?), poi la trama ha iniziato ad ingarbugliarsi e a diventare sempre più assurda. Ad un certo punto non ho più capito quando e dove diavolo lo trasmettessero e non ho mai visto le ultime due o tre serie. Per rimediare a questa lacuna ieri ho cercato un riassunto esaustivo che mi permettesse di capire cosa diamine succede alla fine. Ho solo capito che ritornano indietro nel tempo 360mila volte e resuscitano più volte di Brooke in Beautiful (anche se google mi dice che era Taylor la zombie, non sono molto informata al riguardo).

Continuando a parlare di soprannaturale, uno dei telefilm che ha davvero compromesso i miei pomeriggi di studio è stato Buffy L’ammazzavampiri. Ricordo chiaramente che per un certo periodo ne trasmettevano due o tre puntate di fila, in fascia pomeridiana. Il telefilm racconta la storia di una teenager, Buffy per l’appunto, prescelta per essere la cacciatrice e quindi incaricata di lottare contro le forze del male. Vampiri in primis. Ovviamente io ero innamorata di Angel (chevvelodicoaffare), ma gradualmente, quando David Boreanaz è scomparso dalla serie, io e mia sorella abbiamo sviluppato una simpatia malsana per Spike (nonostante gli improbabili capelli ossigenati).

Chiaramente, come tutte le serie man mano che le stagioni avanzano, ha sviluppato un climax di drammaticità che si è risolto più volte con un’imminente fine del mondo, scampata grazie alla nostra eroina e al suo gruppo di amici un po’ sfigatelli (la Scooby Gang). Ad un certo punto, non so per quale motivo (forse un cambiamento nella fascia oraria di trasmissione, non saprei) ho smesso di seguirlo, ma qualche anno fa ho ripreso la serie in streaming ed ho guardato le puntate mancanti.

Diciamo che questo telefilm ha dato il via ad un genere che ha visto poi un fiorente sviluppo negli anni a seguire nel mondo delle serie tv. Ho anche letto che ha ispirato diversi studi universitari (giuro, non sono in cerca di giustificazioni!).

Qualche giustificazione, invece, mi servirebbe per spiegare il perché abbia seguito tutte (e dico tutte) le stagioni di Dawson’s Creek. Diciamo pure che all’epoca mi avviavo ad entrare nella fase dell’adolescenza, ma ricordo perfettamente che quando è stata trasmessa l’ultima puntata (straordinariamente in fascia serale) io frequentavo già le superiori da parecchio e non me n’ero mai persa una. Insomma, non chiedetemi il perché di tutto questo, mi piace pensare di essere stata drogata da una qualche entità aliena e di aver agito inconsapevolmente contro la mia volontà.

Insomma, la serie racconta la storia di un gruppo di adolescenti, il cui protagonista principale è Dawson. Primi amori, primi baci, primi litigi e incomprensioni. Gli autori sono riusciti inspiegabilmente a tenere su la serie perfino sino al college, per poi produrre un paio di puntate sulla piega che hanno preso le vite dei protagonisti da adulti.

A parte tutti i pippotti psicologici del quindicenne Dawson impersonato da un poco probabile James Van Der Beek con l’onnipresente ombra di una barba da adulto, la cosa che ho apprezzato di questo telefilm è che, al contrario per esempio di Beverly Hills (che era partito con le stesse intenzioni), non ha mai raggiunto quell’insopportabile livello di drammaticità da tragedia greca. Storie e vite più o meno normali, insomma.

A queste ne sono seguite, ovviamente, delle altre. Per citarne qualcuna: tra quelle seguite in tv (e solitamente a metà), Desperate Housewives, Veronica Mars, O.C., Una Mamma per Amica (vi prego, non mi giudicate), Friends, Scrubs (che di recente ho rivisto per intero e in ordine su youtube). Tra quelle seguite in streaming: Diario di una squillo per bene, The Ringer, Misfits, Scrubs, le prime 11 puntate di Lost…ma sicuramente il telefilm dei telefilm è stato per me How I met your mother.

La serie racconta le vicende di un gruppo di amici che vivono a New York e si avviano verso i trent’anni. Il protagonista è Ted Mosby, l’eterno romanticone che alla fine la prende sempre in quel posto, il quale decide di raccontare ai suoi due figli le vicissitudini che l’hanno portato ad incontrare la loro madre (da qui il titolo).

Purtroppo non parlerò molto di questo telefilm, visti i toni ironici del blog, non ho niente di sarcastico da aggiungere! Ho semplicemente adorato questa serie. L’unica nota negativa è stato il finale che mi ha profondamente delusa. Ci ho pensato per giorni porca pupazza!

ATTENZIONE SPOILER

Ma dico io, dopo tutto il giro colossale per far incontrare questi due poveri cristi, me la fate morire? Per cosa poi? Far ritornare Ted con Robin! Quando i figli hanno detto che secondo loro la storia non parlava della loro mamma ma della zia Robin e che Ted l’ha raccontata perché voleva la loro approvazione ho quasi lanciato il pc dalla finestra!

I personaggi avevano subito una profonda evoluzione ed una decisione del genere sul copione cozzava con ciò che nel tempo essi erano diventati. Ma soprattutto ha sminuito il messaggio di fondo, sull’attesa del vero amore, e tutto il significato della serie. Per non parlare di Barney. Tutta l’ultima serie è ruotata attorno al suo matrimonio con Robin e al fatto che finalmente fosse maturato ed avesse smesso di essere il solito latin lover superficiale (che poi questo tratto del suo carattere mascherava dei traumi affettivi subiti durante l’infanzia, come l’abbandono da parte del padre, e non solo) per poi ritornare esattamente al punto di partenza ma svariati anni più tardi, facendolo sembrare un quarantenne imbecille.

Tre respiri profondi (abbiamo riaperto una ferita che sembrava essersi rimarginata). Ok, mi sono calmata, possiamo continuare.

FINE SPOILER

How I met your mother ha aperto la stagione della mia vita dedicata allo streaming. Il che ha creato una sorta di mostro, poiché, se prima ero vincolata alla messa in onda delle puntate, a partire da qui in poi è stato come dare un sacchetto pieno di dolci ad un bambino dicendogli “mangiali un po’ per volta”. Della serie: “guardo un’altra puntata e poi inizio a fare ciò che devo fare” e ci siamo capiti.

Comunque, dopo aver iniziato la mia carriera universitaria alla facoltà di lingue, al piacere (diciamo pure dipendenza) di seguire una serie si è aggiunto anche l’interesse linguistico ed ho smesso quasi del tutto di guardare serie doppiate in italiano. Se non l’avete mai fatto, ve lo consiglio vivamente, soprattutto se masticate un po’ l’inglese. I doppiaggi italiani hanno spesso la brutta abitudine di modificare i nomi e di scegliere voci che a volte risultano poco naturali se associate alla fisionomia del personaggio (quando non stravolgono interi dialoghi).

Per esempio, quando ho iniziato a seguire True Blood, la prima cosa che ho pensato di Sookie è stata: questa è tutta scema!

Ma partiamo dall’inizio. Era una sera d’inverno ed un’amica mi fa: “ho una nuova serie in dvd, ho le prime tre puntate, parla di vampiri, ce le guardiamo?”. “Certo che si!”, rispondo io, sempre a caccia di nuovi telefilm da seguire.

Prime impressioni: Sookie è una svampita rimbambita, Bill ha una voce stereotipata da duro con quella raucedine di sottofondo da tipo che ha fumato la prima sigaretta a dodici anni e non ha più smesso. Ma ho deciso comunque di dare alla serie una seconda chance. Ho visto la prima stagione in italiano, ma quando ho iniziato a guardare le puntate sottotitolate ho capito tutto il malinteso, tant’è che sono poi tornata a guardare quella famosa prima puntata in lingua originale. E’ vero, Sookie era un po’ stupidina, per via dell’ingenuità del personaggio, ma sì che la versione italiana la faceva sembrare proprio una sciroccata!

Poi non capisco perché Bon temps (la cittadina in cui vivono) nella versione italiana viene pronunciato proprio così com’è scritto, anziché con un accento francese, come nell’originale, così come alcuni cognomi: Compton diventa Campton (con una “a” apertissima), Merlotte (accentato sulla o) diventa Mèrlot e addirittura Alcide (letto Alsìd, per capirci) diventa Alcide, come Alcide De Gasperi!

Vabbè, ammetto in questo istante (per poi dimenticarlo subito dopo) di essere a volte un po’ troppo petulante.

Però sappiate che nella versione originale di Tata Francesca, lei non è affatto italiana della Ciociaria, ma proviene da una famiglia americana di origini ebraiche e zia Yetta e zia Assunta sono rispettivamente sua nonna e sua madre. Ecco!

Ritornando a noi. True Blood, per chi non lo sapesse, parla di vampiri. Si era capito? Ma non aspettatevi dei vampiri luccicanti e sdolcinati alla Twilight. I vampiri di True Blood sono fighi e tosti, sfacciati e con deliri di onnipotenza, ma sanno anche essere umani e a volte un po’ dolci. Inoltre, una delle loro caratteristiche principali, è il loro irresistibile sex appeal: sono delle bombe del sesso famosi per le loro prestazioni da urlo. Tant’è che se bevi il sangue di un vampiro (che dà effetti allucinogeni e crea dipendenza), aspettati di fare una serie di sogni erotici molto realistici su di lui. Il telefilm infatti non si risparmia sulla presenza di scene di nudo e di sesso (specialmente le prime stagioni).

La trama principale, su cui si innestano varie situazioni, riguarda l’uscita allo scoperto dei vampiri i quali, dopo secoli e secoli di clandestinità, decidono di rivelare la loro esistenza al mondo umano a seguito della creazione in laboratorio di una bevanda a base di sangue sintetico, il true blood (o tru blood, non ho ancora capito come si chiami!).

Il telefilm è tratto da una serie di romanzi del Ciclo di Sookie Stackhouse e, a mio modesto parere, mette in scena un’ottima analisi sociologica sui possibili scenari che si configurerebbero da un’eventuale co-esistenza forzata tra vampiri e umani, se si verificasse sul serio.

In questo momento della mia vita, oltre a True Blood, di cui tra l’altro stanno trasmettendo ora la settima ed ultima stagione (per sempre, sigh!), sono legata ad altre serie (perché ogni periodo dell’anno deve essere coperto!):

Mad Men (viene trasmessa in primavera) è una serie ambientata nella New York degli anni ’60 e parla di un gruppo di pubblicitari, i quali, attraverso il loro lavoro, si fanno specchio dei cambiamenti della società americana avvenuti in quel decennio (dal grande boom economico, alla morte di Kennedy, dall’emancipazione della donna alla conquista dei diritti civili degli afroamericani).

Se non trovate nessun motivo per cui valga la pena di seguire questa serie (anche se ve la consiglio vivamente, poiché merita), fatelo almeno per Jon Hamm (tra l’altro citato nel mio precedente post: http://diariodiunaprocrastinatricecronica.myblog.it/?p=27) se siete interessate/i agli uomini, altrimenti, se sono le donne che vi piacciono, ce ne sono diverse da studiare!

Quello che sto per dire farà vergognare un po’ il mio lato intellettuale snob (anche se, ahimè, non porto neanche gli occhiali). Un’altra delle serie che seguo in questo momento (non adesso adesso, poiché va in onda in autunno) è Once Upon a Time. Incolpo mia sorella di questo e vado avanti.

L’ultima serie della nostra carrellata è The Walking Dead (anche questa trasmessa a partire da ottobre), tratta dall’omonimo fumetto, configura uno scenario apocalittico in cui la diffusione di un virus ha trasformato gran parte della popolazione mondiale (o almeno così si suppone, poiché i protagonisti vivono in America e non hanno idea di ciò che sta succedendo nel resto del pianeta) in zombie!

Quando ho visto la prima puntata ho pensato: bella si, ma che c**** di telefilm splatter vado a guardarmi? Mostri con la pelle in brandelli e i cervelli esposti che vomitano versi incomprensibili! Difatti ho chiuso gli occhi per quasi metà puntata (sono un po’ impressionabile). Però sotto sotto mi era piaciuta e ho deciso di guardare la seconda puntata. Dopodiché mi sono chiusa in casa per una settimana per mettermi in pari con le puntate arretrate (come faccio di solito, perché o tutto e subito o niente!).

Anche se non siete fan del genere, vi consiglio di vedere questo telefilm. Vi appariranno in tutta la loro brutalità la crudeltà e l’egoismo del genere umano posto in condizioni di pericolo e di sopravvivenza. Uno studio sociologico (avete notato che mi piace dirlo?) sulla nascita e l’evoluzione di strutture, gruppi e meccanismi sociali all’indomani della distruzione di tutte le certezze umane. Inoltre saprete più o meno come comportarvi in caso di reale apocalisse zombie.

Se decidete di iniziare a seguire la serie vi do un piccolo consiglio: non vi affezionate troppo ai personaggi perché, prima o poi, moriranno.

Di recente, sempre per quella storia della procrastinatrice pentita, ho deciso di dedicare meno tempo alla visione di telefilm in streaming ed è per questo che non ho ancora iniziato a seguire Game of Thrones!

Procrastinazione e serie tv – ovvero “guardo un’altra puntata e poi inizio a fare ciò che devo fare”ultima modifica: 2014-08-09T01:03:20+02:00da melinapatata
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